Storia:"Valsugana e Tesino"

PROFILO STORICO DELLA VALSUGANA E DEL TESINO
La Valsugana nella sua definizione storico-geografica ha sempre rappresentato per lo studioso un problema non facilmente risolvibile e fonte di infinite discussioni. Per Valsugana i geografi intendono la valle formata dall’alto corso del Brenta, dalle sue sorgenti, i laghi di Levico e Caldonazzo, fino alla confluenza col torrente Cismon dopo la serra di Primolano. Alcuni geografi, tenendo conto che nel passato una roggia del Fersina (la Rozza Grande che scendeva per Pergine) era un affluente del lago di Caldonazzo (Lanzinger 1990, pp. 28-35), comprendono nella Valsugana anche il Perginese. Questa inclusione è condivisa anche dal Montebello che nel 1793 scrive: La Valle Ausugana detta Valsugana è situata nel principio dell’Alpi, che a settentrione di Venezia dividono l’Italia dalla Germania. La sua altezza di polo è nel grado 46. Sul principio del grado 29. di longitudine. Secondo l’antica sua dimensione si estende dal fiume Cismone sotto Primolano fino al torrente Silla sopra Pergine, lunga circa ventinove miglia italiane, e larga diversamente secondo la varia posizione dei monti, dove nove miglia, e dove meno. Nella parte superiore oltre varij altri laghetti ha due considerabili laghi, uno detto di S, Cristoforo o di Caldonazzo, e l’altro di Levico, dai quali scaturisce il fiume Brenta, che scorrendo per mezzo la Valle forma due altri piccoli laghi, uno a Novaledo detto Lago dei Masi, e l’altro detto Lagomorto nel distretto di Roncegno, […] (Montebello 1793, pp. 7-8). Sempre dal punto di vista geografico, l’ideale divisione tra Alta e Bassa Valsugana sarebbe indicata nella chiusa di Borgo Valsugana formata dalle ultime propaggini del monte Ciolino con le balze della Rocchetta. Alla Valsugana va pure ascritto geograficamente il terrazzamento della conca del Tesino.
Per taluni storici e glottologi come il Prati e il Lorenzi, la Valsugana cominciava alla Chiusa di Siccone ai Masi di Novaledo e finiva al Covolo del Brenta. Nella definizione del Lorenzi la Valsugana “nel concetto popolare significava dominio temporale dei Vescovi di Feltre” (Lorenzi 1932) e comprendeva le Pievi di Roncegno, Borgo, Telve e Strigno. Gli esempi sulla definizione di Valsugana potrebbero continuare all’infinito senza addivenire ad una soluzione definitiva. Concordando col Gorfer e col Prati, è più realistico pensare alla Valsugana come un’entità storica più che geografica, in particolare alla Valsugana propriamente detta, vale a dire la Valsugana inferiore od orientale e la conca del Tesino. La Valsugana, in virtù della sua posizione chiave per l’ingresso dal Veneto in Trentino ha sempre avuto dal punto di vista storico, culturale ed economico una notevole importanza. I primi abitatori, o per meglio dire frequentatori, furono i cacciatori preistorici che, quando ancora la Valle era per buona parte sommersa dai ghiacci dell’ultima glaciazione, si spingevano per cacce stagionali sui versanti medio alti dell’Altipiano dei Sette Comuni nelle zone di Enego e di Marcesina, ma anche nell’area di Cima Dodici (Lanzinger-Tommaseo Ponzetta 2003, p. 37), e sul versante sud del Lagorai. Lo dimostrano i ritrovamenti, fatti negli anni’80, di tracce di bivacchi e insediamenti avvenuti nella zona di Marcesina (Grotta di Ernesto e Riparo Dalmeri) risalenti alla fine del Paleolitico Superiore, con testimonianze di antichissime frequentazioni neandertaliane collocabili a oltre 40.000 anni fa (Dalmeri-Lanzinger 2003, p. 47), quelli del versante sud del Lagorai (Laghetti del Colbricon, Lago delle Buse) e quelli scoperti nel 1950 nella zona del Celado a Castel Tesino, tutti collocabili in un periodo che va dalla fine del Paleolitico al Mesolitico. È comunque a partire da epoche più vicine a noi, corrispondenti grosso modo alla tarda età del bronzo, che si insediano nella valle i primi nuclei abitativi stabili appartenenti a popolazioni retiche o gallo-venete ed euganee o addirittura etrusche, secondo i vari studiosi che si sono occupati dell’argomento (Montebello 1793, p. 14; Prati 1923, p. 12). Questi primi abitatori vennero chiamati da Strabone Medoaci, da Medoacus Maior l’antico nome del Brenta. Di questi insediamenti le testimonianze più antiche sono rappresentate da alcuni castellieri preromani quali quello venuto alla luce nel 1957 in località Castelliri a Telve di Sopra, quelli di Castel San Pietro sul monte Ciolino, del Dosso Penile a Strigno, di Grigno e, soprattutto, l’insediamento abitativo del Colle di Sant’Ippolito a Castel Tesino, scoperto nel 1961 e risalente ad un periodo compreso tra il V-IV secolo
A. C. e la metà del I sec. d. C.; sicuramente il più importante di tutta la Valsugana assieme a quello dei Montesei di Serso. La romanizzazione del territorio, avvenuta probabilmente verso il I secolo a. C., assegnerà tutta la Valsugana, chiamata Ausuganea e appartenente alla tribù Publicia, al Municipium di Feltria della X Regio, fatto estremamente importante che sarà alla base delle più tarde divisioni tra la Diocesi di Feltre e quella di Trento. È interessante a questo proposito segnalare la singolare iscrizione confinaria del Monte Pergol, in Val Cadino, innalzata nel primo impero per separare il territorio di Tridentum da quello di Feltria e per proteggere con precise confinazioni i pascoli alpini ritenuti vitali per l’economia dell’epoca (Buchi 1997, p. 151). La costruzione di un’importante arteria viaria quale la Via Claudia Augusta Altinate che, partendo da Altino, passando per Feltre, la Valsugana, Trento, la Valle dell’Adige, Merano e scavalcando il Passo di Resia, conduceva ad Augusta, diede un notevole impulso economico e militare alla Valle e costituì l’occasione per nuovi insediamenti abitativi. La via, tracciata presumibilmente nel 15 a. C. da Druso, venne realizzata e potenziata dal figlio, l’imperatore Claudio Augusto, da cui il nome, nella prima metà del I secolo d. C. Va detto che sui particolari riferiti alla definizione del tracciato di questa via e nello specifico quello riguardante la Valsugana, le discussioni sono ancora aperte anche se gran parte degli studiosi ne accetta l’esistenza. Collegata alla Via Claudia Augusta è la nascita di Borgo Valsugana, l’antica Ausugum citata nell’itinerario di Antonino Augusto del III secolo, sorta come mansio (Stazione militare) nei primi decenni del I secolo d. C. nel punto più stretto della valle, là dove il monte Ciolino scende fino a lambire il corso del Brenta, creando una specie di chiusa con gli ultimi speroni della Rocchetta (Fabris 2004, p. 7). Tra i ritrovamenti sporadici di oggetti e monete appartenenti all’età romana, circa una quarantina, avvenuti un po’ ovunque in Valsugana, il più importante è certamente la famosa lapide di Marter (I-II secolo d. C.), venuta alla luce nel XVIII secolo ed ora murata nella casa Fontana a Borgo Valsugana. Il Cristianesimo, penetrato in Valsugana dal vicino Veneto e in forma sporadica nei primi secoli dopo Cristo per mezzo di militari e commercianti (Costa 1997, p. 225), trovò ampia e sistematica diffusione nel periodo compreso tra il IV e il VI secolo. In assenza di prove sicure su questa penetrazione vale il fatto che la valle sia appartenuta unitariamente fin dalle sue origini alla diocesi di Feltre dalla quale fu staccata per passare a quella di Trento solo nel 1786 e precisamente il 16 aprile, Domenica di Pasqua. Altro elemento a favore di questa ipotesi sarebbe l’antica presenza nella Pieve del centro vallivo di Borgo del culto di alcuni santi tipicamente veneti come Prosdocimo, protovescovo di Padova e grande evangelizzatore, Ermagora, vescovo di Aquileia e Fortunato il suo diacono. Anche il più tardo culto di Santa Giustina, martire padovana, venerata a Telve, potrebbe avvalorare questa ipotesi. A questo periodo, cioè tra il V e il VI secolo, si fa risalire il prezioso calice del diacono Orso, rinvenuto casualmente nel Tesino in località Roa nel 1836 sulla via che da Castel Tesino scende a Lamon, proveniente forse da Aquileia e considerato dagli studiosi il più antico calice eucaristico superstite in Occidente. Il calice è attualmente conservato nel Museo Diocesano di Feltre. Scarse ma non assenti sono le testimonianze storiche relative all’alto medioevo nonostante la Valsugana sia stata oggetto di un intenso traffico commerciale attuato sia attraverso l’antico percorso pubblico militare-statale della via Claudia Augusta, la quale escludeva però la parte bassa più orientale da Primolano a Strigno, sia attraverso il più recente tragitto esclusivamente mercantile segnato dalla Opitergium-Tridentum che, scendendo da Feltre per Arten e Arsiè, percorreva l’intera valle da Primolano a Trento (Granello 1998, p. 231). Su questa arteria s’innestava a Primolano quella proveniente da Padova e risalente il Canale di Brenta detta più tardi “Via Paulina”. La necropoli di Ospedaletto, scoperta nel 1869 e nel 1882 nelle campagne poste in alto sopra il paese, appartenente ai secoli III - V (Lorenzi 1991, p, 21-22) e composta da numerose tombe con scheletri, molte delle quali complete del loro prezioso corredo, potrebbe essere collegata all’attivazione di questa seconda arteria viaria alternativa alla Claudia Augusta. La distribuzione della popolazione, sensibilmente diminuita dopo il medio e tardo impero, a giudicare dalla citata povertà di testimonianze, era molto diversa da quella attuale. Gran parte del fondovalle era malsano e occupato da paludi, acquitrini e qualche lago, con scarsità di terre coltivabili. I pochi insediamenti, a parte Borgo, erano costruiti sulle pendici a sinistra del Brenta. La fine dell’Impero Romano e le invasioni barbariche non dovettero portare grandi sconvolgimenti in questi territori relativamente lontani e isolati e poco appetibili sotto l’aspetto economico-militare. Nel tempestoso periodo gotico che seguì, è probabile che anche la Valsugana, al pari delle regioni contermini come il Veneto o la Valle dell’Adige più direttamente coinvolte, sia stata oggetto di passaggi di schiere di armati, con occupazioni, distruzioni e saccheggi. Mancano comunque dati sostanziali che possano confermare questa ipotesi. Il periodo longobardo e il successivo dominio dei Franchi è attestato dalla notizia riportata da Paolo Diacono della distruzione nel 590 da parte dei Franchi di due luoghi fortificati in Alsuca, località da intendersi non con la Valsugana come proposto da alcuni studiosi (Montebello 1793, p. 22; Waitz 1978, p. 137), ma più precisamente con Ausugum, cioè Borgo (Granello 1998, p. 242). Sull’identità delle fortezze distrutte i pareri sono discordi. Chi dice trattarsi di Telvana e della Rocchetta (Prati 1923, p. 16) chi invece di Telvana e della Tor Quadra nei pressi di Marter (Granello1998, p. 243). La prima ipotesi sembrerebbe la più convincente tenuto conto del ritrovamento tra l’altro di monete imperiali romane (Brentari 1890, p. 353) anche se si potrebbero identificare queste due fortezze con Castel San Pietro, data la vetustà delle sue origini, e con la Rocchetta, ora non più esistente ma fatta risalire dall’Ambrosi al periodo romano (Ambrosi 1879, p. 74). Dopo questa distruzione dei Franchi cala sulla storia della Valsugana un lungo periodo di silenzio. Durante questo periodo qualche studioso ha ipotizzato il passaggio, per ragioni strategico-militari ed economiche, di tutta la valle fino a Primolano e, forse, fino alla confluenza del Cismon con il Brenta, al Ducato longobardo di Trento. È più plausibile pensare che, data la difficoltà di comunicazioni con Trento, impedite dalla scoscesa gola del Fersina, e l’importanza economico militare di Ausugum, Feltre non abbia mai rinunciato alla Valsugana e che questa sia sempre gravitata sul Veneto anziché sul Trentino. A riprova di ciò vale anche la parlata valsuganotta chiaramente veneta e diversa da quella a inflessione trentina di Levico, Caldonazzo e Pergine. All’alba del secondo millennio, nel 1004, le cronache ci dicono che l’Imperatore del Sacro Romano Impero, Enrico II il Santo, durante la guerra contro Arduino d’Ivrea, trovando chiusa la via dell’Adige da truppe nemiche, attraversò la Valsugana e, superando la resistenza della fortezza del Covolo, giunse nel Vicentino arrivando poifino a Pavia dove si fece incoronare Re d’Italia. È in questa occasione che venne creato il Principato Vescovile di Trento, come è ormai accertato da gran parte degli studiosi anche se non ci è pervenuto l’atto di donazione. Il 31 maggio 1027, il successore di Enrico II, Corrado II il Salico, seguendo il tradizionale principio della politica dei re Sassoni, confermava al Vescovo di Trento il potere temporale sulla città e sul suo territorio creando al contempo la Contea Vescovile di Feltre. Nell’atto di donazione, conservato a Trento, il confine tra i due territori venne stabilito nella chiesa di San Desiderio, posta in località Campolongo, l’attuale Campiello, sulla strada tra Levico e Novaledo. La pietra confinaria, contrassegnata da tre croci e infissa nel terreno, è tuttora visibile nei pressi dell’arco che dà accesso al cortile del Maso di San Desiderio (la chiesa da secoli non più esistente è stata trasformata in abitazione). Secondo il Pellin, l’origine del potere temporale dei Vescovi Conti di Feltre risalirebbe al 969 quando ebbero la giurisdizione della contea dall’Imperatore Ottone I (936-973) (Pellin 1944, p. 34; Costa 1993, p. 121). Il Cambruzzi invece ne fissa l’inizio al 974 (Cambruzzi 1874, p. 140).
In questo modo i due nuovi comitati di Trento e Feltre, che con molta probabilità erano in precedenza benefici militari, divennero benefici ecclesiastici formando parte integrante delle due Mense Vescovili. La donazione di Corrado II il Salico al Vescovo di Feltre fu poi ribadita da un nuovo documento redatto da Corrado III a Ratisbona nel 1140, e nuovamente riconosciuta nel 1161da un diploma dell’Imperatore Federico Barbarossa dove si precisavano i confini territoriali: “dai nostri predecessori furono donati alla chiesa di Feltre i territori che vanno dal fiume Cismon ai confini dell’episcopato”. Infine, papa Lucio III (1181-1185) inviò al Vescovo di Feltre Drudo da Camino (1169-1199) la Bolla In Eminenti Apostolicae Speculo, considerata il documento ufficiale di approvazione e conferma della circoscrizione della diocesi feltrina (Lorenzi 1991, pp. 33-35). Così, mentre l’effettivo potere politico dei Vescovi di Feltre sulla Valsugana che si fermava a Campolongo durò fino al 1228, quello religioso che comprendeva tutta la Valsugana arrivando fino al Cirè addentrandosi a nord-est nella Val dei Mocheni e a sud-ovest sull’altipiano di Lavarone e a Vattaro scendendo per la Vallarsa fino alle porte di Trento, durò ininterrottamente fino alla Pasqua del 1786. Prima di questi fatti, verso la fine del X secolo, l’immaginario popolare ci parla di tre passaggi per la valle e della sua sosta a Grigno, dove sarebbe addirittura morto, di San Udalrico Vescovo di Augusta, particolarmente venerato nella Valsugana orientale e nel Tesino e titolare di un’antichissima chiesetta (XI-XII secolo) costruita su di un colle nei pressi di Grigno (Gorfer 1977, p. 926; Folgheraiter 1999, p. 187-89; Fabris 2007, p. 81). Nel periodo che segna il passaggio dalla società feudale a quella comunale la Valsugana, posta tra i domini veneti e il principato tridentino, fu teatro di aspre contese e di lotte feroci tra i vari signorotti locali, i cosiddetti “Dinasti”. Essi, originariamente subordinati all’autorità vescovile, parallelamente al progressivo indebolimento di quest’ultima acquistano sempre più indipendenza finendo col governare incontrastati sul territorio loro affidato, spadroneggiando, insensibili alle lamentele della popolazione e ai richiami dei Vescovi, molestando non di rado anche i possedimenti vescovili approfittando dell’impotenza militare dell’autorità ecclesiastica. È il momento in cui si vedono sorgere in Valsugana una miriade di castelli, residenze fortificate di questi feudatari. Molti di questi come il Castello della Scala a Primolano, il Castello di Grigno, il Castello di Castelnuovo, Castel Nerva a Scurelle, il Castello di Strigno detto Castelrotto, Castel Arnana a Telve, la Bastia della Rocchetta a Borgo, Castel Savaro e Castel Montebello tra Borgo e Roncegno, Castel Tesobbo a Roncegno non esistono più da tempo. Del citato Castel San Pietro non è rimasto che uno sperone di muro soffocato dalla vegetazione mentre i romantici ruderi di Castellalto affiorano dalla boscaglia dominando ancora il paese di Telve. Gli unici manieri rimasti in piedi e abitabili sono Castel Telvana che, nonostante le distruzioni e i crolli, conserva intatto il suo fascino e l’aspetto minaccioso e Castel Ivano, il più bello e meglio conservato della valle, da anni diventato un centro d’arte e di cultura. Del tormentato periodo sopraccennato, che va dal XIII al XV secolo e che ha visto la Valsugana cambiare di frequente dominazione, viene dato qui di seguito un quadro sintetico. Durante l’impero di Federico II (1220 – 1250) acquistò grande rilevanza politico-militare nel nord dell’Italia Ezzelino III da Romano (1194-1259), primogenito di Ezzelino II, detto il Monaco. Ezzelino che nel 1238 aveva sposato a Verona Selvaggia, figlia naturale di Federico II, sarà riconosciuto dall’imperatore come suo vicario. Egli, tra le tante imprese di cui si fregiò, ebbe un ruolo determinante nello spodestare a Trento il potere vescovile sostituito da messi imperiali con la funzione di governatori. Ricordiamo tra questi Lazzaro di Lucca e il lucano Sodegerio da Tito, definito però dalle fonti Apuliensis o de Apulia (Riedmann 2004, p. 235), il quale riuscì a tenere a bada il “tiranno” veneto con prudenza, senza tuttavia allearsi con lui. Dopo la morte dell’Imperatore, Sodegerio tentò di creare una signoria propria, coinvolgendo sempre di più i cittadini nell’amministrazione. Ma il 15 giugno 1255 inaspettatamente, per ragioni ancora oggi oscure, il podestà rinunciò a tutti i suoi beni a favore della Chiesa di Trento e del vescovo Egnone, appena entrato in città. Non è dato sapere se Sodegerio sia morto nel Trentino o invece in altre parti d’Italia. La Valsugana Feltrina era passata sotto il dominio di Ezzelino nel 1228 quando questi si era impossessato di Feltre. Il Curzel però ipotizza che la Valsugana sia passata sotto il controllo di Ezzelino III solo nel 1240, insieme a Bassano (Curzel 1998, p. 32). Si sa per certo che già anteriormente al 1248 egli aveva nominato due magistrati rispettivamente a Borgo e in Tesino a giudicare in suo nome. Non sembra che Ezzelino abbia avuto lotte o noie con i dinasti della Valsugana, suoi sudditi in quanto dipendenti dal potere del Signore di Feltre. Alla sua morte, avvenuta nel 1259, Adalgerio da Villalta, Vescovo di Feltre, tentò di riprendersi il potere della città trovando però una fiera opposizione nell’avverso partito ghibellino che riuscì ad ottenere il controllo della città e impadronirsi nel 1264, sotto la guida di Gorgia Teupone, della Valsugana (Cambruzzi 1874, p.267). Scoppiate nuove sommosse a Feltre, il Vescovo Adalgerio nominava suo capitano generale Gherardo da Camino, signore di Treviso il quale, dopo aver riconosciuto al Vescovo il diritto di mantenere la Valsugana e il Primiero sotto la sua diretta giurisdizione, nel 1268 si portava in Valsugana insediandosi nel castello d’Ivano per scacciare i Ghibellini e ridurla all’ordine. Sceso in campo nei pressi di Ospedaletto si scontrava con i signorotti locali, sostenuti dallo Scaligero e dai Trentini, subendo una clamorosa sconfitta (Cambruzzi 1874, p. 270). L’anno dopo la situazione si normalizzava automaticamente col riconoscimento da parte dei Signori della Valsugana dell’autorità del Vescovo il quale riprese a nominare i suoi capitani a Borgo e in Tesino. Diatelmo da Villalta, nel 1279, risulta nominato Vicario generale per la Valsugana e Tesino per il vescovo di Feltre. Nel 1314 il Vescovo feltrino Alessandro Novello è costretto a riconoscere lo Ius Gladii,cioè tutti i diritti di pedaggi, dazi, angarie e servitù, che prima spettava al Vescovo, ai signori della Valsugana, tra i quali Bartolomeo da Telve. Questo fatto segnerebbe l’inizio legale delle dinastie della Valsugana Feltrina. Nel 1321 Can Grande della Scala, accordatosi col Vescovo Gorgia Lusa, diventa signore di Feltre e della Valsugana accrescendo notevolmente la propria autorità nel 1327 quando l’Imperatore Ludovico il Bavaro lo nomina vicario imperiale di Verona, Vicenza, Feltre, Belluno e Bassano. È a questo periodo che risale l’erezione dell’arma scaligera sui masti dei castelli di Castellalto e Ivano, coperta poi in quest’ultimo dall’arma dei Carraresi. Nel periodo dominato dai Caldonazzo, vale a dire tra il XIII e il XIV secolo, nelle zone più alte della montagna di Roncegno avvengono i primi insediamenti di coloni di lingua tedesca, provenienti sia dalla valle del Fersina sia dalle zone germanofone meridionali delle Alpi (Curzel 1998, p. 31). Ancora oggi nella zona sono molti i cognomi e i toponimi di origine tedesca e mochena, come ad esempio Bèber, Slòmp, Boccher, Ròner, Hauseri, Fraineri, Osla, Pacheri, Ronchi, Smideri, Stricheri ecc. Al dominio scaligero subentra nel 1337 quello del Vescovo Gorgia Lusa, sostituito dopo un breve periodo da quello dei fratelli Carlo di Lussemburgo e Giovanni di Carinzia, figli del re di Boemia. Questi ultimi, nominati capitani di Feltre e Belluno dal citato Vescovo, si erano poco dopo impadroniti della città di Feltre e dei suoi possedimenti. Giovanni di Carinzia, che aveva sposato Margherita del Tirolo era come conte del Tirolo avvocato dei Vescovi di Trento. In questo modo Trento e Feltre venivano a trovarsi entrambe sotto la protezione dei conti di Tirolo. Nel 1343 Margherita del Tirolo, ottenuto lo scioglimento del primo matrimonio, si risposava con Ludovico di Brandeburgo il quale, venuto così in possesso di tutti i diritti spettanti ai Tirolo, se ne avvaleva immediatamente. Preso quindi possesso di Trento, marciò alla volta di Feltre e Belluno che all’arrivo del conte riconobbero subito la sua autorità e dove il Brandeburgo nominò suo vicario Engelmario di Villanders. In Valsugana Ludovico trovò un deciso sostenitore in Siccone di Caldonazzo. Costui, approfittando del bisogno di denaro dell’Imperatore Ludovico il Bavaro, tentò da questi di farsi nominare signore di Feltre e Belluno, ma catturato da Engelmario di Villanders, venne liberato a stento solo con la mediazione di Jacopo da Carrara, concedendo in cambio come prezzo del riscatto la fortezza del Covolo al Carrara e la Chiusa di Novaledo al Villanders. Nel 1347 Carlo di Boemia, fratello di Giovanni di Carinzia, eletto Imperatore con il nome di Carlo IV, intraprendeva la riconquista dei territori imperiali usurpati dai Brandeburgo. Il periodo che segue e che arriva fino al 1360 è per la regione e in particolare per la Valsugana un continuo avvicendarsi di lotte, occupazioni, saccheggi da parte dei vari contendenti. Nel 1349, Pergine per non cadere nelle mani dei Brandeburgo si consegnava spontaneamente a Giacomo da Carrara. In questo modo la Valsugana veniva a trovarsi divisa sotto tre poteri: il Carrarese, il Brandeburghese, per il quale nuovamente parteggiava Siccone di Caldonazzo, e quello imperiale di Carlo IV cui era soggetta la nostra zona. Morto Ludovico di Brandeburgo nel 1361, il figlio Mainardo sposò Margherita, figlia di Alberto II d’Austria. Morto Mainardo nel 1363, sua madre Margherita del Tirolo cedeva tutti i beni e i diritti dei Conti di Tirolo ai fratelli della nuora, la vedova Margherita, i Duchi d’Austria Rodolfo IV, Alberto e Leopoldo. In questo modo la Casa d’Austria veniva direttamente in possesso di tutti i diritti di avvocazia della chiesa tridentina dove nel 1363 veniva eletto Vescovo Alberto di Ortenburg (1363 1390), già cancelliere di Rodolfo IV col quale sottoscriveva nello stesso 1363 (18 settembre) l’accordo delle Compattate (patti di reciproca assistenza) che in pratica consegnavano il Principato ai Duchi d’Austria. Rientrato in possesso dei suoi territori, il Duca Rodolfo, donava Feltre a Luigi d’Ungheria, che a sua volta la donava a Francesco da Carrara, Signore di Padova. Nuovi fatti d’arme scoppiati qualche anno dopo per la ribellione ai Carraresi, fomentata dietro le quinte dai Duchi d’Austria, di Biagio d’Ivano e dei suoi fratelli, i signori di Grigno e Strigno, portavano alla distruzione da parte dei Carraresi del Castello di Grigno (1365) e all’assedio e presa di quello d’Ivano, mentre le truppe venute in soccorso di Biagio sfogarono la loro rabbia distruggendo il Castello di Nerva, o di San Martino, presso Scurelle. È in questo frangente che s’inserisce l’episodio di Biagio delle Castellare, il crudele Signore d’Ivano: quando i carraresi espugnarono il castello e catturarono Biagio, i Tesini pretesero la sua testa. Francesco da Carrara negò la consegna dell’ostaggio ed essi, in sua vece, giustiziarono un fantoccio e alcuni dei suoi sgherri che si erano distinti per misfatti e crudeltà. A parziale soddisfazione, gli abitanti della valle stabilirono di celebrare, normalmente ogni cinque anni nel primo giorno di Quaresima, un processo in contumacia che si tiene ancora oggi, normalmente ogni cinque anni, durante il quale vengono elencate e denunciate le colpe per il quale il crudele Biagio avrebbe meritato la pena di morte.
Cacciati i Signori di Ivano e di Grigno, nel 1372 Francesco da Carrara ne assumeva gli stessi titoli nominando suo vicario per la giurisdizione d’Ivano Ottolino da Lignago o dal Legname. L’anno dopo lo stesso Francesco, accorgendosi dell’accorta politica di penetrazione nel territorio dei Duchi d’Austria, concedeva spontaneamente ad Alberto e Leopoldo, fratelli di Rodolfo morto qualche tempo prima, i suoi diritti sulla Valsugana orientale. L’atto, redatto nel febbraio dello stesso anno (1373), riconosceva ai Duchi, oltre alle città di Feltre e Belluno, i beni dei Signori di Ivano, Strigno e Grigno, tutti i loro castelli e fortezze, nonché i diritti di dipendenza da parte dei Signori di Tesobbo, Castelnuovo e Castellalto. Col ritorno dei Duchi d’Austria in Valsugana rientravano in possesso dei loro beni anche i Signori di Strigno, Ivano e Tesino, ribellatisi su loro istigazione a Francesco da Carrara. Nel 1379, in seguito a regolare spartizione, tutti i domini appartenenti ai conti di Tirolo vennero conferiti al duca Leopoldo che cedeva Feltre e Belluno al Carrarese avendone in cambio una grossa somma di denaro (1384). Secondo il Prati in questa cessione era compresa pure la Valsugana e il Primiero (Prati 1923, p. 19). Nel 1385, in conseguenza di una lite scoppiata tra Siccone II di Caldonazzo e Alberto della Scala, Signore di Vicenza, per uno sconfinamento e razzia di pecore sull’altipiano, la Valsugana fu messa a ferro e fuoco dall’esercito vicentino sceso in valle dalla parte di Lavarone. Borgo, come molti altri paesi, venne rasa al suolo e dovette essere ricostruita dalle fondamenta. Anche Castel San Pietro venne completamente distrutto (Montebello 1973, doc., pp. 73-74). Tre anni dopo Gian Galeazzo Visconti, Signore di Milano, s’impadronisce delle città appartenenti al Carrara, comprese Feltre e Belluno, e di conseguenza anche della Valsugana la quale rimarrà sotto il dominio visconteo fino al 1402, anno della sua morte. Morto il Visconti, le città venete, piuttosto che subire nuovamente il dominio dei Carraresi, scelgono liberamente di darsi alla Repubblica di San Marco. Nel 1406 anche Feltre passa sotto la Signoria di Venezia. Di conseguenza la Valsugana, come dipendenza di Feltre, viene rivendicata dai Veneziani. Sul supposto passaggio della valle alla Repubblica Veneta non sono pervenuti documenti e alcuni suppongono che tale passaggio sia avvenuto solo dopo il 1410. Nel 1410 al Duca Leopoldo d’Austria succede Federico IV detto “Il Tascavuota” il quale nelle sue mire espansionistiche si preparava già a riconquistare la Valsugana allegando come scusa i precedenti diritti acquisiti dalla sua famiglia. Spaventati dalle mire espansionistiche del Duca, i signori locali tra i quali Giacomo di Caldonazzo signore di Telvana, Antonio e Catrono (o Castruccio) d’Ivano, anziché riconoscere la signoria del Tascavuota, fanno atto di sottomissione a Venezia chiedendone al contempo la protezione. Nell’estate del 1412 Federico Tascavuota invade con le sue truppe la Valsugana ponendo l’assedio ai castelli di Telvana e di Ivano i quali dopo una breve resistenza sono costretti a capitolare. L’anno seguente, a Merano il 2 agosto del 1413, il Vescovo di Feltre e Belluno, Principe Enrico de Scarampis (1404-1440), zio materno di Federico IV, riaffermando la propria teorica superiorità feudale, concesse al duca d’Austria i castelli e le giurisdizioni di Tesòbo, San Pietro e Telvana, con il pretesto che i Caldonazzo-Castelnuovo non avevano rinnovato la richiesta di investitura (Montebello 1793, pp. 104-107). Con quest’atto si istituiscono anche le tre giurisdizioni di Telvana, Castellalto-San Pietro e Ivano che vengono assegnate a uomini di fiducia di Federico Tascavuota. Si conclude così il lungo e confuso periodo delle contese fra le diverse signorie della valle e inizia la storia, destinata a durare quattro secoli, del legame tra la Bassa Valsugana ed il Tirolo, che divenne quindi legame con l’Impero stesso quando la casa d’Austria rese ereditario il titolo. Espulsi gli antichi signori, nominati nuovi capitani e vicari dei conti di Tirolo, si assiste in Valsugana ad un periodo di relativa tranquillità dopo le tormentate e cruente vicende del passaggio dall’età comunale a quella delle Signorie. I duchi d’Austria sostituirono poi alle antiche famiglie feudali e signorili della zona nuove famiglie alle quali accordarono, a titolo di feudo, i diritti di giurisdizione sui territori spettanti ai singoli castelli, provocando con questo un notevole malcontento nella popolazione che preferiva il diretto domino dei duchi d’Austria. La Conca del Tesino nel 1479 fu contagiata dalla peste. Per far cessare il flagello e per proteggersi da future epidemie, i Tesini eressero come voto due chiese, una dedicata ai Santi Fabiano e Sebastiano a Pieve (1479) e l’altra dedicata ai Santi Rocco e Pantaleone (dopo il 1481) a Castello. Il passaggio della Valsugana orientale ai duchi d’Austria diede origine ad una seconda ondata di immigrazione tedesca, più numerosa nelle giurisdizioni di Telvana e Castellalto. Nella prima, l’insediamento a Telvana nel 1462 dei Welsperg (Balthasar), provenienti dal castello di Welsperg (Monguelfo) e prima ancora dalla Svevia (Baviera), richiamò al loro servizio numerose categorie di persone di lingua tedesca come soldati, artigiani, armaioli, minatori, e altre ancora. Per loro a Borgo veniva creata nel Quattrocento la seconda parrocchia facente capo alla chiesa di Santa Croce dove si officiava in tedesco. Anche a Telve, al principio del Cinquecento, la presenza alemanna, formata per lo più da minatori e roncadori, doveva essere piuttosto consistente se nel 1518 Lorenzo Campeggio, Vescovo di Feltre, concedeva licenza di celebrare e di esercitare cura d’anime nella diocesi a Don Colmanno Kaisler e a Don Bernardino Haynzmann della diocesi di Augusta (Morizzo 1911, p. 2). Nel 1487, durante la guerra tra Venezia e Sigismondo d’Austria, la Valsugana fu nuovamente teatro di scontri, passando per un breve periodo sotto la Repubblica Veneta. Questi scontri portarono tra l’altro alla distruzione di Telve e all’occupazione del castello d’Ivano (Zieger 1968, p. 165). Nuovamente nei primi decenni del Cinquecento la valle fu coinvolta nella guerra dell’Imperatore Massimiliano I e la Lega di Cambrai contro la Repubblica di San Marco, con il passaggio di truppe, scontri armati, saccheggi, stragi, devastazioni, razzie e disordini. L’imperatore stesso nel 1509, transitando per la Valsugana, si fermò nel castello d’Ivano. Uno dei fatti più terribili della guerra fu l’eccidio di Feltre, concluso con l’incendio della città. Il Cambruzzi dice che il fautore dell’incendio fu un certo Ippolito Peloso di Castel Tesino, che nudrito fra quelle orride balze, avea appresa la fierezza delle belve. Pretendeva egli gran merito, per aver primo degli altri posto il fuoco
(Cambruzzi 1873, p. 246). Lo storico ci dice anche che per questa sua impresa il Peloso ricevette come ricompensa dall’Imperatore l’impiccagione. Anche il Montebello parla del Peloso facendoci sapere che prima di lui, nel 1509, i Feltrini avevano incendiato Pieve, Castello e Grigno (Montebello 1793, p. 111). È probabile che sia collegata a questi fatti la terribile peste scoppiata in quegli anni, che spopolò la valle (Montebello 1793, p. 287) e contro la quale nel 1509 la popolazione di Borgo eresse come voto l’Oratorio di San Rocco. Nel 1516, con il trattato di pace che sanciva la fine della guerra, la Valsugana con annessa la fortezza del Covolo veniva riconfermata agli Asburgo e i territori aggregati al Tirolo vennero chiamati “I Confini d’Italia”.
La tranquillità in valle durò meno di una decina di anni perché nuovamente nel terzo decennio del secolo essa fu uno dei teatri della cosiddetta “Guerra Rustica”, una rivolta soprattutto di contadini contro la tirannia e lo strapotere di principi e signorotti locali. La guerra, partita dalla Germania dopo la Riforma Luterana, coinvolse varie regioni dell’impero compreso il Principato Vescovile di Trento. A Borgo i primi sentori del malcontento della popolazione contro le vessazioni dei giurisdicenti di Telvana si ebbero nel 1520 quando scoppiò una rivolta contro il dinasta Sigismondo III Welsperg che aveva risposto con le armi alle giuste richieste di uno Statuto da parte della Comunità. L’esplosione della rivolta contadina in Valsugana e in Trentino si ebbe nel 1525. I contadini di Strigno, assaltato e preso il castello d’Ivano, uccisero il capitano Giorgio Pucler. A Borgo i rivoltosi, dopo aver fatto giuramento nella chiesa di San Rocco, attentarono alla vita del dinasta che si salvò per miracolo, saccheggiando poi la casa del Luciani, capitano di Telvana. La rivolta fu domata nel sangue soprattutto per opera di Francesco di Castellato, capitano delle milizie del Clesio. Il 23 dicembre del 1525 nella pubblica piazza di Trento molti rivoltosi fatti prigionieri vennero giustiziati. Tra essi c’era anche il pittore Francesco Corradi che sembra abbia avuto un ruolo non secondario nella rivolta e al quale fu tagliata la lingua (Costa 1993, p. 453). Nel 1609 l’Arciduca Massimiliano concedeva alle tre giurisdizioni della Valsugana Inferiore i tanto desiderati Statuti che portavano ad un netto miglioramento dei rapporti tra le varie comunità locali e i dinasti di turno. All’inizio del Seicento, secondo quanto scrive il nobile Armenio Ceschi di Santa Croce nella sua Storia della Famiglia Ceschi di Santa Croce (Ceschi 1740 ca., ms.), venne introdotto in Valsugana da parte dei Ceschi l’allevamento del baco da seta e la conseguente coltura del gelso. L’allevamento, inizialmente osteggiato dalla popolazione, divenne in seguito una delle fonti economiche più importanti della valle con la creazione di numerose filande a Borgo e nei paesi del circondario. Nel 1665 si estingueva la linea amburghese dei conti di Tirolo e il Tirolo con la Valsugana passava sotto il diretto dominio della Casa Imperiale con Leopoldo I, con la differenza che, mentre i primi avevano sempre riconosciuto il diritto d’investitura del Vescovo di Feltre per le tre giurisdizioni di Telvana, Castellalto e Ivano, i secondi nel 1670, per bocca dell’Arciduca Ferdinando, dichiaravano di non riconoscere tale diritto, ma di considerare la Valsugana un proprio diretto dominio. Nel 1679 i Conti Wolkenstein-Trotsburg ricevono in feudo dalla Casa d’Austria la Giurisdizione d’Ivano con il castello, tramutato nel 1750 in titolo perpetuo dall’Imperatrice Maria Teresa. Dalla fine della guerra rustica fino alle campagne napoleoniche la valle visse un periodo di relativa tranquillità, almeno stando a quanto scrive il Montebello: Da tale epoca (1525) questo paese non si vide più inquietato da militari azioni, e s’incammina già a tre secoli di continua pace, che la Divina Provvidenza perpetuamente conservi
(Montebello, 1793, p. 126). Verso la fine del XVII secolo inizia nella conca del Tesino la produzione di stampe popolari la cui invenzione, messa a punto verso la metà del secolo dall’intagliatore locale Antonio Morando (o Morandi) di Pieve, venne in seguito sviluppata e perfezionata dai Remondini di Bassano. Il commercio delle stampe, che in un primo momento aveva affiancato la pastorizia, da sempre la principale fonte economica della conca, divenne in seguito una delle attività più redditizie arrivando i cromeri tesini con le loro merci in tutti i paesi d’Europa fino alla lontana Russia, aprendo negozi e acquistando palazzi in città come Parigi, Amsterdam, Varsavia, San Pietroburgo e Mosca . Il momento d’oro del commercio ambulante si ebbe nella seconda metà del XIX secolo. Come accennato precedentemente, il 16 aprile 1786 avviene il passaggio ufficiale della Valsugana alla Diocesi di Trento. La dipendenza per oltre un millennio dalla Diocesi di Feltre ha fatto sì che in valle si potessero conservare oltre alla parlata veneta, anche usi, costumi, tradizioni, arte e cultura che altrimenti avrebbero rischiato di venir meno o essere assorbiti e contaminati soprattutto nel lungo periodo di dominazione austriaca, durato oltre quattro secoli, con i Conti di Tirolo, prima, e la casa d’Austria poi. La rivoluzione francese e le conseguenti campagne napoleoniche coinvolsero per almeno due decenni anche la Valsugana. Il 6 settembre 1796 Napoleone, nell’azione di inseguimento delle truppe austriache comandate dal generale Wurmser, pernottò a Borgo, ospite del dottor Prospero Zanetti come ricorda la lapide marmorea murata nella facciata del palazzo. Il giorno seguente il Bonaparte, seguito da 15.000 uomini, riprese l’inseguimento e, raggiunti gli Austriaci a Bassano, si scontrò con essi vincendoli. I passaggi di truppe, gli scontri, le sopraffazioni e tutto quello che seguì continuarono ancora per alcuni anni, fino alla pace di Luneville del 1801 con cui si restituiva all’Austria il Trentino e tutta la Valsugana, dichiarando decaduto il principato vescovile di Trento. Nel 1805 con la pace di Presburgo, seguita a nuove guerre, la Valsugana con il Trentino passava sotto il Regno di Baviera rimanendovi fino al 1810 quando, in seguito ad una nuova campagna napoleonica, veniva incorporata al Regno Italico. Nonostante i continui cambiamenti di regime, in questo periodo la valle non fu coinvolta in fatti d’arme clamorosi se si esclude un attentato al generale francese Baraguay d’Hilliers, in transito per Borgo, che rischiò di far radere al suolo il paese. Il dominio francese terminò nel 1813 con la rioccupazione delle truppe austriache del Trentino che con il Congresso di Vienna, il 7 aprile 1815, fu ufficialmente restituito all’Austria e incorporato nella Provincia del Tirolo. L’amministrazione austriaca intervenne con saggi provvedimenti a riassestare l’economia e le condizioni di vita della valle, amministrandola alla stregua delle altre provincie. I moti rivoluzionari del 1848 videro la partecipazione sporadica di insorti anche della Valsugana con esiti molto modesti. Diversamente, nel 1866, durante la Terza guerra d’Indipendenza la Valsugana ebbe una notevole importanza e fu teatro di alcune fortunate azioni delle truppe italiane comandate dal generale Medici. Nel 1882 tutta la valle fu sconvolta da una terribile alluvione che mise in ginocchio la povera economia locale rendendo improduttivi per anni i fertili terreni agricoli. In conseguenza di ciò parte della popolazione fu costretta ad abbandonare case e campagne e cercare fortuna all’estero, chi in Europa e chi oltreoceano in Brasile. Molti abitanti della valle, provenienti in particolare dalle zone di Roncegno e Ospedaletto, secondo un progetto di ripopolamento della regione dell’Imperatore Francesco Giuseppe, si trasferirono in Bosnia, a quel tempo territorio ottomano sotto l’amministrazione dell’Impero Austro-Ungarico, fondando il paese di Stivor. Qualche decennio prima la Valsugana fu colpita dalla morìa del baco da seta che sconvolse la già povera economia. Fu allora che un sacerdote, don Giuseppe Grazioli, curato a Ivano, compì una serie di viaggi in Dalmazia, Romania, nel Caucaso arrivando fino in Giappone e riuscendo finalmente a portare da quel lontano paese un nuovo seme del baco da seta che permise ai nostri paesi di riprendere il prezioso allevamento.
Un notevole progresso per lo sviluppo della valle fu raggiunto nel 1896 con l’inaugurazione della ferrovia della Valsugana che a quel tempo arrivava fino a Grigno. Dopo mezzo secolo di pace e relativa tranquillità, il 24 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria: è la Prima Guerra Mondiale e la Valsugana si viene a trovare proprio sulla linea del fronte. Dopo tre anni di guerra, il 4 novembre l’Austria si arrende. Come sia uscita la valle da questa catastrofe apocalittica è difficile immaginarlo realmente nonostante le molte fotografie dell’epoca, le cronache degli avvenimenti e i racconti dei protagonisti. Il 10 settembre 1919, con la firma del Trattato di pace tra Italia e Austria, a Saint Germain, il Trentino, l’Alto Adige e l’Ampezzano passano dalla sovranità austriaca a quella italiana, e avviene così l’annessione di fatto al Regno d’Italia. Il 26 settembre 1920 viene promulgata la legge che sancisce l’annessione del Trentino all’Italia. Gran parte dei paesi della Valsugana erano stati bombardati e bruciati. A Telve di Sopra per esempio, oltre alla chiesa restavano in piedi solo tre case. Nonostante questa situazione spettrale la valle nel giro di pochi anni si rimise in piedi. I profughi e i reduci ritornati a casa ricostruirono tutto quello che la guerra aveva distrutto e molto di più. Nel 1928 il Governo Fascista, nel progetto di riordino dell’amministrazione pubblica, con Regio Decreto n° 839 del 3 marzo 1928, ordina che i Comuni di Carzano, Castelnuovo, Ronchi, Telve, Telve di Sopra e Torcegno siano aggregati al Comune di Borgo Valsugana, e così anche per i comuni degli altri circondari. I comuni della Valsugana ritorneranno alla loro autonomia il 3 febbraio 1947 con un decreto del Capo provvisorio della neonata Repubblica Italiana. La Seconda guerra Mondiale, pur con tutti i disagi legati ad ogni conflitto, non causò danni ingenti al patrimonio edilizio e silvo-agricolo. I danni furono provocati per lo più da bombardamenti aerei o da azioni militari attuate durante la Resistenza partigiana e la ritirata nazista. A Borgo Valsugana il 2 maggio 1945 i tedeschi fecero saltare in aria la Casa Romani, sede del loro comando, provocando un tremendo boato che causò notevoli danni anche alle case vicine e provocò un incendio che durò due giorni (Costa 1995, p. 818). Passato il periodo di ricostruzione postbellica, la Valsugana, come il resto del Trentino e dell’Italia, venne investita all’inizio degli anni Sessanta da quello che fu definito il boom economico. Questo boom, se da un lato portò ad un notevole miglioramento del livello di vita, dall’altro, per la sua natura spontanea e caotica, concretizzata nello specifico da una notevole espansione edilizia che vedeva sorgere un po’ ovunque strutture abitative, commerciali e produttive, contribuì in parte allo snaturamento dei centri storici. L’immagine di un campanile, di qualche vetusta chiesetta o di un’edicola votiva non deve diventare il malinconico segno di un passato illustre e denso di vita, ma la testimonianza viva di un patrimonio storico, culturale e artistico che, perpetuandosi nel presente, indica la via da seguire nel futuro.
© Vittorio Fabris, luglio 2008
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